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Immigrazione: è il trasferimento permanente o temporaneo di gruppi di persone in un paese diverso da quello di origine; il fenomeno è l’opposto dell’emigrazione. Si possono includere le migrazioni di popolazioni ed i movimenti interni ad un paese (le cosiddette migrazioni interne e il fenomeno dell’urbanizzazione).
L’immigrazione è uno dei fenomeni sociali mondiali più problematici e controversi, dal punto di vista delle cause e delle conseguenze. Per quanto riguarda i paesi destinatari dei fenomeni migratori (principalmente le nazioni cosiddette sviluppate o in via di sviluppo), i problemi che si pongono riguardano la regolamentazione ed il controllo dei flussi migratori in ingresso e della permanenza degli immigrati.
Il fenomeno dell’immigrazione è un tema associato a quello dell’aumento della delinquenza e della criminalità. Per quanto riguarda l’Italia, tuttavia, delle ricerche econometriche hanno dimostrato che non c’è alcun nesso fra l’immigrazione e la criminalità. I due fenomeni sono entrambi attratti dalla ricchezza, e quindi possono intensificarsi contemporaneamente nelle zone ricche, senza però che l’una causi o favorisca l’altra[1].
Tuttavia, l’immigrazione può contribuire a risolvere problemi come sovrappopolazione, fame, epidemie e povertà nel Paese di origine. A livello politico, i Paesi di origine e di destinazione possono stringere accordi bilaterali che prevedono flussi migratori programmati e controllati, per rispondere a esigenze di manodopera del Paese di destinazione, a problemi di sovrappopolazione del Paese d’origine, compensati da altri aspetti come uno scambio di materie prime ed energia. Un accordo di questo tipo può prevedere la fornitura di materie prime e manodopera in cambio di prodotti finiti ed investimenti nell’industria e in infrastrutture nel Paese fornitore.

Il fenomeno della migrazione può trovare origine in motivazioni:
• economiche (per sfuggire alla povertà, per cercare migliori condizioni di vita);
• lavorative (per trovare un impiego, per migliorare il proprio posto di lavoro);
• motivazioni politiche (dittature, persecuzioni, soprusi, guerre, genocidi, pulizia etnica);
• di tipo religioso (impossibilità di praticare il proprio culto religioso);
• derivate da disastri naturali (tsunami, alluvioni, terremoti, carestie);
• personali (scelta ideologica, fidanzamento con un partner residente in un altro paese);
• anagrafiche: al raggiungimento della pensione (trasferimento in un luogo con clima migliore; minore costo della vita);
• di tipo sentimentale (riunificazione familiare);
• di tipo criminale: (a) fuga (per sfuggire alla giustizia del proprio paese, per evitare un arresto); (b) attrazione (per ottenere risultati migliori dalla propria attività malavitosa);
• per istruzione (per frequentare una scuola e conseguire un titolo di studio, garantire ai propri figli un’istruzione più approfondita, apprendere una lingua straniera).

Espatriato: La parola espatriato viene dal latino medievale expatriatus, che è il participio passato del verbo espatriare (lasciare il proprio paese). Secondo questa definizione, gli espatriati sono persone che lasciano il loro paese d’origine per vivere in un altro.

Spesso, il termine espatriato viene utilizzato per indicare tutte quelle persone che non intendono vivere all’estero per sempre e che mantengono la loro nazionalità originale per ragioni di tipo pratico. In questo senso, un espatriato è diverso da un immigrato, che di solito intende stabilirsi definitivamente nel paese in cui si trasferisce e acquisisce una nuova nazionalità. Inoltre, con la parola espatriato, ci si riferisce a lavoratori qualificati provenienti da paesi industrializzati che lavorano all’estero per periodi brevi o relativamente brevi (come gli espatriati statunitensi in Spagna). L’utilizzo di questa parola serve quindi a marcare una differenza tra coloro che migrano in un altro paese per problemi socio-economici e coloro che lo fanno per altre ragioni.

In realtà, la distinzione tra queste due parole non è così netta: se è vero che la quantità di lavoratori provenienti da paesi sviluppati che decidono di espatriare è in continuo aumento, è anche vero che sono sempre di più i pensionati che decidono di passare gli ultimi anni della loro vita in un altro paese. Attualmente, per esempio, c’è un gran numero di lavoratori qualificati provenienti dall’India che lavorano fuori dal loro paese e un altrettanto alto numero di pensionati statunitensi che si trasferiscono in America Centrale o in Sud America.

Multiculturalismo. Il termine multiculturalismo è entrato nell’uso comune verso la fine degli anni ottanta e sta ad identificare una società dove più culture, anche molto differenti l’una dall’altra, convivono mantenendo ognuna la propria identità. Pur potendo avere interscambi, conservano quindi le peculiarità del proprio gruppo. Le minoranze, in particolare, mantengono il loro diritto ad esistere, senza omologarsi o fondersi ad una cultura predominante perdendo quindi la propria identità. Il termine multiculturalismo, pertanto, sta ad intendere la libertà degli individui di poter scegliere il proprio stile di vita a seconda della propria estrazione socio-culturale in contrapposizione al multicomunitarismo, cioè l’appartenenza e la totale fedeltà di un individuo ad una certa comunità e cultura. Entrambe le definizioni si riferiscono tuttavia a gruppi etnici differenti risiedenti nello stesso territorio, creando molte volte una confusione di significato tra i due concetti.

Multicomunitarismo. Il modello dello Stato-multinazionale definisce il concetto di multicomunitarismo come uno stato formato da più comunità, ognuna consapevole della propria identità etnica, dimostrando il desiderio di supremazia razziale. Il multicomunitarismo si differenzia dal Multiculturalismo in quanto in quest’ultima diverse etnie vivono in un contesto sociale in maniera più o meno integrata. Un esempio di stato multinazionale è il regno del Belgio in cui coesistono l’etnia francona e quella vallone.

Pluralismo. Nelle scienze sociali, il termine pluralismo si riferisce a una struttura di interazioni nella quale i diversi gruppi si mostrano rispetto e tolleranza reciproci, vivendo ed interagendo in maniera pacifica, senza conflitti e senza prevaricazioni (e, soprattutto, senza che nessuno tenti di assimilare l’altro). Nelle società autoritarie od oligarchiche il potere politico è concentrato in poche mani e le decisioni vengono prese da un ristretto numero di persone. Al contrario, in una società pluralistica il potere e la facoltà di prendere decisioni (assumendosi la responsabilità delle relative conseguenze) sono distribuiti. Si ritiene che questo conduca ad una più ampia partecipazione all’impegno politico e sociale a favore di tutti, e che ciò possa dare risultati migliori di quelli delle forme politiche menzionate in precedenza.

Assimilazione: si fa riferimento al processo attivato dalla presenza egemone del monoculturalismo di una nazione o di un continente che tende ad assorbire le altre culture in un unico modello unitario. È di regola, creata dalla società di accoglienza come pratica di accettazione dei migranti. In questo contesto la società ospitante è data come una società compiuta, che non ha nulla da apprendere da chi è portatore di altre culture. L’identità del migrante viene riconosciuta solo nel momento in cui si spoglia dei suoi tratti culturali, per acquisire gli usi e i costumi della società ospitante. Tende, dunque, ad un processo di fusione psicologica e culturale di gruppi etnicamente diversi per dare origine ad una società omogenea ed indifferenziata al suo interno.

Integrazione: si intende l’inclusione delle diverse identità in un unico contesto all’interno del quale non sia presente alcuna discriminazione e nel quale venga praticata la comunicazione interculturale, che dovrebbe fondarsi sulla tolleranza, ascolto attivo, empatia e cura. È il processo attraverso il quale il sistema acquista e conserva un’unità strutturale e funzionale, pur mantenendo la differenziazione degli elementi. L’integrazione è anche il prodotto di tale processo, in termini di mantenimento dell’equilibrio interno del sistema, della cooperazione sociale, del coordinamento tra i ruoli e le istituzioni.

Inclusione: sociale può essere definita come la situazione in cui, una serie di aspetti multidimensionali, che comprendono l’opportunità sostanziale degli individui di vivere secondo i propri valori e le proprie scelte e di migliorare le proprie condizioni, godono degli standard essenziali. In questa situazione, le disparità tra le persone e i gruppi sono socialmente accettabili e il processo attraverso il quale vengono raggiunti questi risultati è partecipativo ed equo.

Fonte: CorriereImmigrazione.it